Art. 86 – Moratoria nel concordato in continuità

Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza
Decreto Legislativo12/01/2019 n. 14Fonte: GU n.38 del 14-2-2019

1. Il piano può prevedere una moratoria fino a due anni dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Quando è prevista la moratoria i creditori hanno diritto al voto per la differenza fra il loro credito maggiorato degli interessi di legge e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso previsto dall’art. 5 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, in vigore nel semestre in cui viene presentata la domanda di concordato preventivo.

Relazione Illustrativa Art. 86
Al fine di consentire al debitore di non impegnare immediatamente, come dovrebbe in carenza della presente disposizione, le utilità derivanti dalla continuità aziendale nel pagamento -integrale o per la parte coperta dal valore del bene su cui grava la garanzia (si tratta, ovviamente, dei beni dei quali non è prevista la liquidazione)- dei creditori il cui credito è assistito da privilegio o garantito da pegno o ipoteca, ma di utilizzarle per la gestione dell’impresa, è previsto che il debitore possa usufruire di una moratoria della durata massima di due anni, anziché di un anno, come già previsto dall’art. 186-bis, secondo comma, r.d. n.267 del 1942, dalla data dell’omologazione. L’estensione del termine costituisce attuazione dell’art. 6, comma 1, lettera i), n. 1) della legge n.155 del 2017, avendo il legislatore preso atto dell’esperienza maturata nei primi anni di applicazione dell’art. 186-bis della l. fall., introdotto dal d.l.22 giugno 2015, n. 83, che ha evidenziato come eccessivamente penalizzante per il proponente il termine di un anno. A fronte del pregiudizio subito i creditori privilegiati sono ammessi al voto per la differenza fra il loro credito maggiorato degli interessi di legge e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso previsto dall’art. 5 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, in vigore nel semestre in cui viene presentata la domanda di concordato preventivo. Attualizzando i pagamenti, rispetto alla cronologia prevista dal piano, si riesce infatti a quantificare ciò che il creditore privilegiato perde in termini di chance di investimento. Il diritto di voto verrà quindi ad essere esercitato in misura corrispondente alla perdita. Il tasso di interessi previsto dal d.lgs. n. 231/2002, ridotto della metà, risponde ad un’esigenza di uniformità e semplificazione e rappresenta un tasso medio applicabile a tutte le categorie di creditori. Tale soluzione è parsa preferibile rispetto alla possibilità di attribuire il diritto di voto per l’intero ammontare del credito, che attribuirebbe un peso eccessivo e quindi creerebbe un rischio eccessivo di inquinamento delle maggioranze, a creditori comunque destinati ad essere soddisfatti per intero, oltre che coerente con i principi enunciati dalla Corte di Cassazione, che ha ritenuto determinante ai fini del computo del voto la perdita economica conseguente al ritardo nel conseguimento della disponibilità delle somme spettanti ai creditori (così Cass. n. 10112/2014). La moratoria non può essere invocata e di conseguenza il diritto di voto non spetta se è prevista la liquidazione dei beni sui quali viene esercitato il privilegio in quanto, in tal caso, il pagamento deve conseguire immediatamente alla disponibilità da parte del debitore della somma ricavata dalla liquidazione. Relazione illustrativa al Codice della crisi e dell'insolvenza

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