Concordato in continuità e cessione dei beni: profili fiscali

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L’Agenzia delle Entrate, con risposta all’interpello del 31 ottobre 2019 n. 462 ha chiarito alcuni aspetti in tema di trattamento fiscale applicabile ad un’impresa ammessa alla procedura di concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 186 bis l.fall.

In particolare, la società istante era interessata a comprendere se, in caso di cessione di beni immobili non funzionali alla prosecuzione dell’attività d’impresa, fosse applicabile l’art. 86, comma 5 del TUIR di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Tale norma stabilisce che: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”.

Nel caso di specie, l’Agenzia ha chiarito che la disposizione citata ha carattere speciale rispetto alle regole ordinarie di determinazione del reddito d’impresa e che la ratio della stessa è quella di “circoscrivere la non rilevanza delle plusvalenze e/o delle minusvalenze a un’ipotesi in cui dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa“.

Sulla base delle osservazioni formulate, la fattispecie esaminata deve ritenersi regolata dalla normativa generale per la determinazione del reddito d’impresa, non essendo applicabile in tale ipotesi l’esenzione prevista dall’art. 86 del TUIR, riservata invece alle procedure di concordato fallimentare o di concordato preventivo liquidatorio.

Si può dunque affermare che, nell’ambito di un concordato preventivo in continuità diretta, la cessione di beni “non strategici” alla continuazione dell’attività generano plusvalenze e minusvalenze che concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.

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Redazione del portale Crisi&insolvenza

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