La Corte di Cassazione con la recentissima Sentenza n. 50007 dell’ 11 novembre 2019 ha affermato che, nel caso in cui l’imprenditore in stato di difficoltà economica, scelga di destinare le somme percepite a titolo di Iva, al pagamento dei dipendenti e dei fornitori, risponde del reato di omesso versamento dell’Iva di cui all’art. 10-ter, D.lgs. n. 74/2000.
Ciò in quanto la condotta dell’imprenditore che privilegia la continuità aziendale al posto di versare all’Erario le somme dovute a titolo di Iva, costituisce una scelta cosciente e volontaria (integrando l’elemento del dolo generico necessario per la punibilità del reato in oggetto). Inoltre lo stato di crisi dell’impresa non può escludere la punibilità del reato in quanto il soggetto agente non è obbligato a violare la norma a fronte di un evento da lui imprevedibile e inevitabile (c.d. causa di forza maggiore).
Il tema relativo all’efficacia “scriminante” (o scusante) della mancanza di liquidità, al fine di escludere il reato di omesso versamento dell’Iva, è stato oggetto di un lungo dibattito giurisprudenziale che ha visto contrapporsi due principali orientamenti.
Dopo un primo momento di riluttanza, alcune pronunce della Corte di Cassazione (cfr. ex multis, Cass. n. 12906/2018) hanno ammesso che la crisi economica delle imprese potesse, in linea di principio, assumere valenza di esimente per il soggetto nei cui confronti incombe l’obbligo di versamento. Ciò solo a condizione che l’imprenditore riesca a provare di non aver potuto versare l’imposta a causa di fatti a lui non imputabili (ossia la crisi di liquidità) nonché di aver fatto tutto quanto in suo potere per reperire le risorse necessarie e adempire al proprio debito fiscale (come ad esempio il tentativo di accedere a finanziamenti o l’adozione di misure persino sfavorevoli al suo patrimonio personale). Si comprende tuttavia la difficoltà di assolvere a detti oneri probatori e quindi le rare pronunce del giudice di esclusione della condanna dell’imprenditore per il reato in questione.
Il panorama economico in grave difficoltà che ha caratterizzato gli ultimi anni, ha spinto molti imprenditori, in mancanza di liquidità, a rinviare il pagamento dei debiti tributari (pur dichiarando l’esistenza degli stessi e pagando successivamente le sanzioni per gli omessi versamenti). Ciò ha fatto parlare di “autofinanziamento” con risorse collettive ed ha alimentato il dibattito giurisprudenziale sull’efficacia “scriminante” della crisi d’impresa, con riferimento al reato di omesso versamento dell’Iva.
A tal proposito, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che: “la decisione dell’imprenditore di garantire il pagamento dei crediti da lavoro dipendenti, omettendo il versamento dell’imposta sul valore aggiunto, non è riconducibile alla causa di forza maggiore”. Ciò in quanto non si riscontra:
– la necessità assoluta di violare la legge;
– l’imprevedibile e improvvisa insorgenza di una situazione di oggettiva mancanza di liquidità al momento dell’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Dal momento che, il comportamento omissivo viene considerato come una deliberata e consapevole scelta di non versare all’erario le somme dovute e che quindi la mancanza di liquidità non costituisce esimente, la condotta risulta punibile ex art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000 (Cfr., ex multis, Cass. Pen. sez. III, 06/07/2018, n.52971).
La Corte di Cassazione, con la Sentenza in esame, ha confermato l’interpretazione ormai consolidata, affermando che la difficoltà economica dell’imprenditore non può di per sé considerarsi un evento imprevisto ed imprevedibile. Nel caso di specie, la crisi della società si era verificata alcuni anni prima rispetto all’omissione Iva e pertanto non può considerarsi quale causa di forza maggiore idonea a escludere la responsabilità penale dell’ imprenditore che ha agito in maniera volontaria e consapevole.