Massima
I pagamenti eseguiti dall’imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l’automatica revoca, ai sensi dell’art. 173, ultimo comma, l.fall., dell’ammissione alla procedura, la quale consegue solo all’accertamento che tali pagamenti siano diretti a frodare le ragioni dei creditori (in quanto pregiudicano le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato).
Il criterio della migliore soddisfazione dei creditori individua una sorta di clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato quale regola di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore ammesso alla procedura.
(massima a cura della Redazione Crisi&insolvenza)
In sintesi
L’ordinanza della Suprema Corte affronta il tema della legittimità della revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo ex art. 173, ultimo comma l. fall., in presenza di atti compiuti senza l’autorizzazione del giudice delegato.
Come disposto dall’art. 167 l. fall. “gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato” e, al pari di quelli compiuti in frode ai creditori, comportano la revoca dell’ammissione al concordato e l’eventuale dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 173 l.fall.
La pronuncia richiama un precedente arresto della Corte di Cassazione (cfr. Corte di Cassazione n. 3323/2016) reso nel contesto del medesimo giudizio in occasione del quale era stata indagata la possibilità, in presenza di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, compiuti senza autorizzazione del giudice delegato, di pronunciare o meno in via automatica la revoca della procedura di concordato preventivo.
Viene così ribadito il principio di diritto secondo cui il compimento dell’atto non autorizzato da parte del debitore non può determinare ex se la revoca automatica del concordato, in quanto il disvalore dell’atto non può derivare soltanto dalla violazione della regola della par condicio, ma deve essere verificato sulla base del criterio della migliore soddisfazione dei creditori.
La pronuncia resa dalla Suprema Corte porta tra l’altro a confermare la astratta rilevanza – ai fini della revoca ex art. 173 l.fall. – di atti compiuti senza autorizzazione dalla società ammessa alla procedura di concordato preventivo quali: la mancata comunicazione della pendenza di procedimenti monitori sorti successivamente alla domanda di concordato, l’assunzione di dipendenti (quale atto di straordinaria amministrazione), la compensazione di crediti infragruppo volta all’acquisizione della partecipazione totalitaria delle società controllate, atti che potranno essere o meno considerati illegittimi a seguito di una puntuale valutazione degli stessi alla luce dei principi di diritto sopra delineati.