La disciplina unitaria del contratto di leasing

Dottrina | | Autore: Alessandra Parini | Categorie: Codice della Crisi e dell'Insolvenza, Contratti, Fallimento | Lascia un commento

1. La definizione di matrice giurisprudenziale

Il contratto di leasing è stato a lungo privo di una definizione e di una regolamentazione normativa e veniva pertanto inquadrato tra i contratti atipici meritevoli di tutela ai sensi dell’ art. 1322, comma 2 c.c..

La questione relativa alla disciplina applicabile a tale istituto, a lungo dibattuta in dottrina e giurisprudenza,  è stata oggetto solo recentemente di chiarimenti, anche grazie ad alcuni interventi legislativi.

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario (a partire da una serie di pronunce della Corte di Cassazione del dicembre 1989, n. 5570, 5571, 5572 confermate dalla della sentenza a Sezioni Unite n. 65/1993), ne delineava i tratti sulla base della distinzione tra la figura del “leasing di godimento” e quella “leasing traslativo”.

La prima veniva assimilata al contratto di locazione avente ad oggetto beni destinati a deteriorarsi rapidamente con l’applicazione dell’art. 1458 c.c. in tema di contratti a esecuzione continuata e periodica. Ne conseguiva la mancata estensione degli effetti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore alle prestazioni già eseguite.

Al leasing traslativo, invece, si riteneva applicabile analogicamente l’art. 1526 c.c. ( con riguardo alla vendita con riserva di proprietà), in ragione del fatto che, al termine del contratto, il bene conserva un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e i canoni scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale). La risoluzione comportava pertanto la restituzione delle rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa ed al risarcimento del danno.

2. La disciplina fallimentare

Il legislatore del 2006 (cfr. art. 59 d.lgs. 5/2006), come è noto, è intervenuto in materia di leasing nella prospettiva concorsuale introducendo l’art. 72 quater L.Fall. , valorizzando così la causa di finanziamento propria del contratto in esame e distinguendo tale istituto dalla vendita con riserva di proprietà (quest’ultima fattispecie peraltro viene regolata, quanto ad effetti in caso di scioglimento, dal successivo art. 73 L.Fall. mediante rinvio all’art. 1526 c.c.).

La norma, rubricata “Locazione finanziaria” stabilisce che:

“1. Al contratto di locazione finanziaria si applica, in caso di fallimento dell’utilizzatore, l’articolo 72. Se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto.

2. In caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse si applica l’articolo 67, terzo comma, lettera a).

3. Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.

(…)”.

Al contratto di locazione finanziaria, in caso di fallimento dell’utilizzatore, si applica l’ art. 72 L.Fall. che disciplina i rapporti pendenti, prevedendo che:

“1. Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.

[…]

4. In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento , senza che gli sia dovuto risarcimento del danno”.

Anche a seguito dell’introduzione della norma sopra citata, il tradizionale indirizzo della Corte di Cassazione fondato sulla bipartizione del leasing, viene superato dalla diversa interpretazione giurisprudenziale che ritiene applicabile l’ art. 72 quater L.Fall. nel caso di risoluzione del contratto avvenuta prima del fallimento. La norma ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti. Conseguentemente, qualora l’utilizzatore fallisca dopo che sia intervenuta la risoluzione del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene e deve insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere in tutto o in parte l’importo incassato (Cfr. Cass. civ., Sez. I, Sent., 29.03.2019, n. 8980 e  Cass. civ, Sez.I, Ord., 28.10.19, n. 27545).

3. La riforma del leasing finanziario

La tradizionale bipartizione del leasing tratteggiata, è stata superata solo con la Legge annuale per il mercato e la concorrenza n.124 del 2017 (v. in particolare art. 1, commi 136-140) che ha tipizzato il leasing finanziario dandone una definizione compiuta (che lo distingue dal contratto di vendita con riserva di proprietà) e ne ha disciplinato gli effetti in caso di risoluzione.

L’art. 1, comma 136 della citata Legge, ha così stabilito: “Per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprieta’ del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo”.

La novella ha inoltre specificato che, a seguito della risoluzione del contratto per inadempimento, il concedente ha diritto alla restituzione del bene oggetto di leasing e al pagamento, da parte dell’utilizzatore, di una somma pari alla differenza tra quanto avrebbe incassato per effetto del riscatto e quanto effettivamente ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene.

4. La disciplina del leasing nel Codice della crisi e dell’insolvenza

Nel quadro unitario delineato si inserisce anche la disposizione dell’art. 177 del nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs n.14 del 12 gennaio 2019) che conferma il nuovo indirizzo interpretativo adottato dalla giurisprudenza e dal legislatore.

La norma disciplina la locazione finanziaria in maniera del tutto coerente con l’ art 72 L.Fall. e con la Legge n. 124 del 2017, prevedendo che “nella liquidazione giudiziale del patrimonio dell’utilizzatore, in caso di scioglimento del contatto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela fallimentare l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita a valori di mercato, dedotta una somma pari all’ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto.

La medesima disposizione, al comma 2, prevede che il concedente ha diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal giudice delegato”.

 

Autore
blank

Alessandra Parini

Avvocato del Foro di Bologna - Collabora con la Redazione del portale www.crisieinsolvenza.it

Lascia un commento